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Trilogia Apocalisse - Primo racconto

“Quando ebbe aperto il settimo sigillo, si fece silenzio in cielo per circa mezz'ora. Vidi che ai sette angeli ritti davanti a Dio furono date sette trombe.

Poi venne un altro angelo e si fermò all'altare, reggendo un incensiere d'oro... Poi l'angelo prese l'incensiere, lo riempì del fuoco preso dall'altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono scoppi di tuono, clamori, fulmini e scosse di terremoto.

I sette angeli che avevano le sette trombe si accinsero a suonarle…”

Nulla da eccepire, quando si parla di Apocalisse, Giovanni resta insuperato e insuperabile. I sigilli, i cavalieri, le trombe. Questo passo che apre le porte al disastro ha una potenza evocativa ineguagliabile: mette ansia. A gennaio del 2016 le autorità ucraine hanno annunciato che un nuovo virus informatico (sarebbe meglio usare il termine malware, così prendete confidenza con il gergo specialistico) ha causato un black out della rete elettrica che ha “spento” la luce nelle regioni occidentali. Certo i giornalisti, o quel che ne resta, non hanno la forza visionaria dell’Apostolo, ma tranne qualche addetto ai lavori, già ben consapevole del problema, nessuno ha avuto nemmeno una palpitazione. A questo proposito mi sovviene un passaggio del libro Saigon era Disneyland (in confronto) di Gino & Michele, autori satirici milanesi, che scrivono “Il 16 giugno 1991, di ritorno a Milano da Pontida dove era stata proclamata dal senatore Umberto Bossi la nascita della Repubblica del Nord, sei militanti della Lega Lombarda, sei Lumbard, sei legaioli ubriachi di sole e di birra si erano avventurati cantando e sventolando le loro bandiere in fondo a viale Espinasse, poi su per via Varesina, quindi dentro via Bicetti De’ Buttinoni e infine dritti in via Emilio Bianchi. E cantavano anche, quei sei pirla! Cantavano entrando là dove lo stesso Rambo all’idea di lanciarvisi, provava ora un crampo allo stomaco…” A questo punto potreste chiedervi cosa hanno in comune L’Apocalisse, un virus informatico e sei pirla. Domanda lecita, ma vediamo se apprezzate la risposta. Se i pirla, che nel racconto si infilavano nel quartiere più malfamato di Milano degli anni Novanta, non sono sei, ma qualche miliardo che va a spasso allegramente su Internet; se è vero che in rete non mancano i soggetti pericolosi, allora, ecco che l’Apocalisse potrebbe non essere soltanto il best seller di un apostolo visionario. Benvenuti nella realtà.

Beato chi è vigilante e conserva le sue vesti per non andar nudo

Non esistono soltanto disastri globali, perché se qualcosa cancella la vostra vita sono certo che trovereste adeguato il termine apocalisse, magari sta già accadendo soltanto non lo sapete ancora. Iniziamo quindi con qualcosa di molto piccolo.

Infradito e cappotto. Non che vi siate mai preoccupati eccessivamente di come andavate in giro, ma osservare i propri piedi nudi che spuntavano dalle falde del soprabito dava un tocco di ridicolo a una situazione, in cui da ridere non c’era nulla. Vi avevano prelevato all’alba, come succede in ogni buon poliziesco e trascinato fuori casa senza nemmeno darvi il tempo di vestirvi. Vi ricordavate il vociare degli agenti di polizia. “Controllate che non abbia dispositivi elettronici addosso”, casomai vi fosse venuto in mente di sparargli con lo smartphone. “Prelevate il computer portatile e sigillatelo”. “Prendiamo anche la console dei videogiochi?”. “Ovviamente si”. E via dicendo. Stordito dal sonno avevate provato ad abbozzare una forma di resistenza verbale, ma quando avevate detto: “Fatemi chiamare un avvocato!”. Qualcuno vi aveva risposto: “Ne avrai decisamente bisogno”. A quel punto avevate capito che i poliziotti erano certi di non avere commesso alcun errore. Cosa che pensavate pochi minuti prima.

Adesso ve ne stavate in piede nel mezzo di una cella, onestamente senza sapere nemmeno dove, in attesa dell’arrivo del vostro avvocato. Non che fosse esattamente il vostro, visto che non ne avevate mai avuto bisogno, ma era l’amico di un amico. Il legale fece il suo ingresso nella stanzetta. Il suo sguardo mescolava in egual misura curiosità e timore.

“Per quanto il mio abbigliamento faccia pensare male, le garantisco che sotto il cappotto sono vestito e non mi hanno arrestato per atti osceni in luogo pubblico”, pensavate di rassicurarlo sul tema.

 “Mi scusi”, gli scappò un sorrisetto nervoso. “Immaginavo, anzi… Posso farle una domanda?”.

“Prego”.

“E’ colpevole?”.

Cominciamo bene. “Caro avvocato non saprei di cosa. Nessuno mi ha dato nemmeno una vaga idea delle accuse e dei terribili crimini che avrei commesso”.

“Quindi siete innocente?”

Un cretino, perché proprio un cretino doveva capitargli. “Si. Sono innocente. Di qualsiasi cosa mi accusino, non sono stato io”.

“Senta, se così è abbiamo un grande problema”, forse si era ripreso e aveva perfino un tono professionale. “Tra qualche ora la polizia annuncerà nel corso di una conferenza stampa di avere arrestato l’hacker più ricercato del mondo, con una lista di accuse che spaziano dall’accesso abusivo a un sistema informatico fino all’omicidio. Di queste cose tecnologiche non ne capisco molto, ma ho chiamato un consulente che si occupa di crimini informatici e quando gli ho fatto il nome riferitomi dal procuratore, tale Black Shark, è stato zitto per un attimo poi mi ha detto due cose: non dargli in mano nessun dispositivo elettronico e, se puoi, fatti fare un autografo”.

“Oh mio Dio!”.

“Già… Ho esclamato la stessa cosa. Comunque è quasi un peccato che non sia questo Black Shark, per la mia carriera di avvocato sarebbe stato un vero colpo di fortuna, comunque nei prossimi giorni avrò una certa visibilità mediatica, anche se immagino la polizia si accorgerà in fretta dello scambio di persona”.

“Speriamo”, commentate affranto.

Ottimismo. Ecco il peccato veniale dell’avvocato, che di visibilità ne ebbe più di quanta desiderasse, perché il trascorrere del tempo sembrava direttamente proporzionale alla quantità di prove che indicavano il suo cliente, cioè voi, come colpevole di tutti i reati.

Dopo un paio di giorni eccolo palesarsi in carcere, da dove non intendevano farvi uscire in quanto non semplicemente pericoloso, ma praticamente letale.

“Senti”, erano passati da Lei al Tu. “Dobbiamo ingaggiare un consulente, ma uno proprio bravo, perché le cose vanno sempre peggio. Ti ricordi che ti avevo detto che tra le accuse c’era quella di omicidio. Bene, cioè non molto, l’arma con cui è stata uccisa la vittima non soltanto l’avresti comprata tu sul Dark Web attraverso un conto in Bitcoin, ma sopra ci sono anche le tue impronte digitali. Fino ad oggi non erano riusciti ad associarle a nessuno perché tu eri incensurato”.

“Oh Cazzo!”

“Già… Ho esclamato la stessa cosa”.

A parte che fino a quel momento non sapevate dell’esistenza di un Dark Web, cioè un a parte di Internet non indicizzata dai motori di ricerca, e nemmeno dei Bitcoin, una specie di denaro virtuale piuttosto diffuso on line, avete dato immediatamente il vostro assenso all’ingaggio di un consulente, “ma un tanto bravo, mi raccomando”, furono le ultime parole che avete gridato all’indirizzo del legale.

Sarà stata fortuna oppure l’avvocato conosceva le persone giuste, ma ne trovò uno veramente bravo, che purtroppo vi costò in proporzione alla sua bravura.

Lo avete conosciuto dopo due settimane, trascorse nel carcere dal quale probabilmente non vi avrebbero fatto uscire nemmeno se il Papa avesse emesso un’apposita Bolla Pontificia.

Vi piacque soprattutto il suo approccio: sicuro, ottimista anche se leggermente un po’ troppo diretto”.

“Ho passato le ultime due settimane a studiare le carte e a verificare le perizie”, esordì con fare tranquillo. “Penso proprio che alla fine ce la caveremo perché noi abbiamo in mano un’arma segreta, che anche i consulenti della procura iniziano a sospettare tireremo fuori al momento giusto, facendoli passare per dei dilettanti, cosa che non vogliono, anche perché non lo sono. Soltanto si sono fatti prendere dall’entusiasmo di diventare delle celebrità: quelli che hanno messo dietro le sbarre il famigerato Black Shark…”

Non resistete e lo interrompete. “Quale sarebbe l’arma segreta?”

“Lei”, rispose allungandosi sulla sedia. “il fatto che siete fondamentalmente un pirla”. Molto diretto.

Il vostro avvocato sorrideva soddisfatto, mentre voi vi dibatteva tra due emozioni contrastanti: picchiare il vostro interlocutore o abbracciarlo, ma il consulente riprese.

“La stessa cosa che via ha messo nei guai, vi tirerà fuori, ma badate bene, siete stato molto fortunato perché alcune circostanze vi stanno aiutando”.

Fu così che gli raccontò come era stato vittima di un furto d’identità completo, che spaziava dalle carte di credito a tutti i suoi dati sanitari, che tenevate in una cartella sul vostro notebook, fino alle impronte digitali. In particolare quest’ultima parte sarebbe stata decisiva per scagionarlo. Nell’azienda dove lavoravate avevano introdotto da circa un paio di anni un sistema di accesso basato sulle impronte digitali. Il vero Black Shark, dopo essere riuscito ad acquisire il vostro username e password lavorativi era riuscito a prendere il controllo del sistema e a intercettare le vostre impronte quando utilizzavate il badge. Effettivamente il consulente era riuscito a trovare le tracce della violazione informatica del sistema aziendale. Smontata questa, che era risultata la parte più difficile, aveva fatto notare che sia il vostro smartphone che il vostro portatile erano infetti da diversi tipi di malware, alcuni dei quali permettevano di registrare le attività che svolgevate e di eseguire direttamente attività su di essi. Lo stesso valeva per il vostro sistema di connettività domestico, del quale con una certa imprudenza non avevate cambiato la password di default (la cosa fece molto ridere il consulente fu il fatto che non sapevate nemmeno esistesse un’interfaccia di gestione del dispositivo). Sulla base di questi elementi aveva poi dimostrato come di fatto tutta la vostra identità fosse sostanzialmente accessibile a chiunque. Infine, ciliegina sulla torta, era riuscito a reperire email con allegati infetti ricevute da vostri contatti personali, tra i quali madre e sorella, inviate dal vostro account di posta. La possibilità che avesse tentato di ricattare i suoi parenti più stretti risultava un po’ incredibile anche per l’hacker più ricercato del mondo.

Finalmente dopo quattro settimane siete stato rilasciato. Abbracciate l’avvocato e il consulente, anche se il vostro futuro sarebbe stato molto diverso dal passato, perché siete diventato famoso come l’uomo a cui era stata rubata la vita. Nessuno forse vi avrebbe più messo in mano un dispositivo elettronico e non per le ragioni che vi avevano portato in galera, ma per quelle che vi avevano fatto uscire.


Alessandro Curioni

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